STORIA DI UN EMIGRANTE DEL SUD

2.587

Storia di un emigrante del Sud

L’emigrazione degli Anni ‘60 verso il Nord,nella testimonianza diretta di un nostro concittadino

nota-antonio.jpg

DELICETO – Nello scorso mese di luglio ero in ferie e scorrendo le pagine di un noto quotidiano nazionale, sono rimasto molto colpito dal titolo di un articolo: «Crescono gli emigranti, 700 mila dal Sud al Nord» – E giù, tutta una sfilza di dati che riportava drammaticamente in evidenza un’atavica e mai guarita piaga sociale tipica del nostro Meridione. Le valigie di cartone non ci sono più, scriveva l’articolista, ma i numeri sono sempre quelli… – Solo nel 2008 sono stati 122 mila gli italiani che si sono trasferiti dal Sud al Nord del Paese in cerca di lavoro. Un numero in leggera crescita rispetto l’anno precedente, quando erano stati 116 mila, ma sostanzialmente stabile rispetto al passato. Negli ultimi 11 anni, considerando partenze e rientri, il Sud ha perso a favore del Nord 700 mila persone. Se risaliamo le tabelle e torniamo indietro fino al 1955, superiamo addirittura i 4 milioni. Di questione meridionale si parla da quasi 150 anni, la prima volta in parlamento nel 1873, quando l’unità d’Italia era ancora fresca. Il «Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2009» presenta un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: un «Centro Nord che attira e smista flussi migratori al suo interno» ed un Sud «che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarli». Due paesi in uno. Per i giovani fra i 15 e 24 anni, il tasso di disoccupazione è al 14,5% al Centro-Nord, 33,6% al Sud. Da qui il richiamo e il monito del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il quale sostiene che «deve crescere nelle istituzioni, così come nella società, la coscienza che il divario tra Nord e Sud deve essere corretto per non vedere più persone costrette a lasciare la loro terra per lavorare». Per una migliore comprensione di ciò che è stato e di ciò che rappresenta ancora oggi questo fenomeno di grande rilevanza sociale per le regioni meridionali, mi è sembrato interessante integrare la notizia sopra riportata con un’intervista ad un nostro anziano concittadino, ex emigrante degli anni ’60, che di seguito vi riportiamo.

Come vi chiamate e qual è la vostra età?Mi chiamo Antonio Nota, il prossimo 16 ottobre compirò 83 anni.So che siete un emigrante ormai in pensione, dove vivete attualmente?Sono andato in pensione nel 1984, con 35 anni di servizio, vivo a Torino da circa 50 anni, anche se frequentemente torno a Deliceto dove io e mia moglie abbiamo casa, amici e parenti. In che anno emigrò, dove emigrò, quanti anni aveva e perché decise di emigrare?Sono emigrato al Nord nella città di Torino, in cerca di lavoro, una prima volta nel lontano 1955, avevo 29 anni ed ero sposato, ma dopo 40 giorni dovetti ritornare al mio paese senza alcun risultato.Quale era la condizione sociale (il tipo di vita) nella Deliceto di quel tempo?A quei tempi (siamo nel secolo scorso, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale) si viveva una vita misera, il lavoro dei campi, che era quello praticato dalla stragrande maggioranza della popolazione, era duro e poco fruttifero, si lavorava molto e si raccoglieva poco.Ci racconti del suo trasferimento dal Sud al Nord, come avvenne, l’ha aiutata qualche amico o famigliare?Sotto la spinta di mia sorella Imperatrice che già risiedeva a Torino, mi convinsi a fare un nuovo tentativo, nel 1960, che questa volta si rivelò fruttuoso. L’impatto con la città appena arrivato la prima volta alla stazione di Porta Nuova, con la valigia di cartone, fu a dir poco sorprendente, perché non ero solo. Mi feci coraggio a vedere tanti giovani che come me tentavano quella stessa avventura perché aspiravano ad una vita migliore. Per dormire ero ospite di mia sorella su un lettino che dividevo con altri tre compaesani. Al mattino la sveglia era diversa per ognuno di noi, a seconda dei nostri impegni, se non che, quando suonava per il primo, gli altri venivano immancabilmente svegliati e non si dormiva più.Cosa ha fatto quando è arrivato a Torino, come è stata accolta dalla gente di quella città, avete subito atteggiamenti d’intolleranza o manifestazioni di razzismo?Trovare lavoro e una casa non era facile neanche lì; i lavori che davano a noi, così detti “terrun” (terroni – gente che lavora e sta nella terra), erano sempre i più duri anche perché, ad essere obiettivi, non avevamo professionalità, competenze, né istruzione, e venivamo considerati peggio degli stranieri che sono accolti oggi in Italia. Per trovare casa mi è stato utile l’aiuto che mi ha dato un nostro concittadino, il quale ha garantito per me nei confronti dei proprietari. Come ha fatto a trovare lavoro e che tipo di lavoro ha svolto?Di giorno mi adattavo a fare qualche lavoro da manovale; era un continuo sperare nella famosa chiamata alla Fiat. Una volta si presentò un tizio che ci venne presentato come un mediatore che ci avrebbe fatto entrare in quella azienda sotto compenso, ma dopo una breve consultazione ci accorgemmo che dietro si nascondeva una truffa, per tanto, rinunciammo. I lavori che riuscivo a trovare erano quasi tutti nel settore edilizio. Mi ricordo quando, nel periodo invernale, si dovevano spostare barre di ferro nei cantieri, con la temperatura a diversi gradi sotto zero: le mani restavano attaccate. Un bel giorno mia sorella, che lavorava presso un dirigente Fiat come collaboratrice domestica, mi diede la bella notizia: ero stato assunto! Dopo le procedure di rito, visite mediche, compilazione documenti anagrafici, presi lavoro presso le officine della S.p.A. Stura, ove venivano realizzati basamenti per mezzi pesanti. Era un lavoro durissimo ma poco dopo mi spostarono alla lastro – ferratura, dove con una mola dovevamo sgrossare le saldature. Fu così che un giorno, pur avendo gli occhiali, mi entrò una scheggia in un occhio; il capo officina mi intimò che se fossi andato in infermeria mi avrebbe fatto la multa, e così fu. Quella scheggia mi costò cara, però chiesi di essere trasferito e fui mandato allo stabilimento Fiat di Mirafiori, reparto manutenzione, cosa che mi permise di incontrare tanti altri paesani.Quale era la vostra retribuzione a quei tempi?La retribuzione mensile era di 70.000 lire.Quando avete deciso di chiamare tutta la famiglia al Nord?A quel punto cercai e trovai casa in periferia. Intanto, era maturata l’idea di trasferire tutta la famiglia. Era l’agosto del 1962. Cominciavo a vedere la luce del Paradiso.Quali sono state le reazioni dei vostri famigliari e dei vostri parenti di fronte a questo evento?Lasciare il luogo nativo, la propria casa, gli amici, i parenti, le proprie cose, rifarsi una vita, ricominciare tutto da capo, in un ambiente non facile, anzi ostile, credo non sia semplice per nessuno, ma il bisogno di sfamare la propria famiglia, di realizzarti, e il desiderio di vivere una vita migliore, ti porta a superare anche questo; ed è ciò che è avvenuto.Trova cambiato il paese attualmente rispetto alla Deliceto degli anni ‘60?Sì, c’è più benessere e il paese è molto migliorato.Cosa manca ancora al nostro paese perché diventi una realtà dove tutti possono vivere?Ci vorrebbero più industrie e quindi più lavoro per i giovani, anche se da queste parti si sta un po’ meglio rispetto ad altre regioni del Sud.E’ possibile immaginare un futuro che veda un vostro ritorno a Deliceto?Io, mia moglie e mio figlio, con la sua famiglia, torniamo spesso a Deliceto, ci piace stare qui, potremmo valutare la possibilità di ritornare a vivere definitivamente qui se vi fosse la sicurezza rappresentata da una casa di riposo per noi anziani che, a quanto pare, sta per essere realizzata. Vedremo.

Michele Roselli

Lascia una risposta