LA RICORRENZA DEL NATALE DI UN TEMPO A DELICETO

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Tratto da: ricordi degli usi e costumi dell’antica Deliceto
di Rinaldo Nazzaro

Il Natale era la festa più caratteristica nel nostro paese. Fin dal giorno dell’antivigilia (23 dicembre) le donne in tutte le case, erano affaccendate a impastare la farina da dove avrebbero preparato gli “sfringi e le crispelle” (strufoli e cartellate).
I ragazzi indossavano l’abito nuovo per portare in regalo, per conto del padre, agli amici e al compare, il galluccio o il bottiglione di vino crudo. Questi, ricevendo il regalo, donavano qualche lira al compariello che subito spendeva in bengali e sciscarieddi.
La sera in grossi tegami o caldai si friggevano gli sfringi e le crispelle, che poi venivano conditi con vin cotto e noi ragazzi ne mangiavamo con avidità!
Per tutte le strade del paese si sentiva l’odore dell’olio fritto e le porte delle case erano spalancate per far cambiare l’aria.
Il mattino della vigilia (24 dicembre) si udivano le grida dei venditori di capitone e di anguille: ” A questa parte e vivo vivo o capitone, jamm e o mast porta o capitone a la maesta”.
In occasione del Natale anche nei piccoli paeselli si vendeva il pesce, per la verità la gente ne comprava piccole quantità, mezzo chilo o una quarta (250 gr.) e comunque per quei tempi era una novità e un lusso perchè costava 5 lire al chilo e per questa somma un contadino doveva lavorare una giornata intera.
Le persone più povere compravano solo un pò di baccalà che costava 2 lire al Kg e così tutti festeggiavano la vigilia con le laganelle fatte in casa o in via eccezionale con spaghetti al ragù perchè la tradizione voleva che la vigilia di Natale non si doveva cammarare (mangiare carne nei giorni in cui la Chiesa prescrive l’astinenza). Verso le venti quasi tutte le famiglia erano riunite per il cenone natalizio, naturalmente dipendeva dalle possibilità economiche la quantità e la qualità del pranzo. Mentre la gente era a tavola, si udiva ad intervalli una voce che gridava: “Vui stete a porte nchiuse e l’aneme lu priatorio spie pu lu pertus, vuj rivoti chi mi chiama questa sera?”.
A noi ragazzi questa voce che ripeteva queste parole come una cantilena faceva venire un certo timore, che si trasformava in paura quando ci affacciavamo sull’uscio e nella più completa oscurità (non c’era ancora la luce elettrica) scorgevamo un uomo che portava una cassetta a forma di teschio, illuminata all’interno da una candela in modo che si vedessero gli occhi e la bocca. Noi ci nascondevamo dietro le gonne delle nostre mamme, ma chi era quest’uomo che la sera di Natale andava in giro per le strade del paese ripetendo questa cantilena?
Era un confratello della congrega di S. Anna e Morti che andava chiedendo l’obolo per la sua chiesa e solo in occasione del Natale o del Capo d’Anno usciva di notte con quella specie di teschio.
Io credo che esista ancora quella cassetta e che sia chiusa nella sacrestia della chiesa.
Ognuno dava qualche soldo e rischiudeva la porta di casa, ma a noi restava ancora tanta paura malgrado la mamma ci rassicurasse che quel teschio era solo di legno.
Così mentre per tutto il paese si udivano spari di botti e si vedevano le luci dei bengali, la gente si tratteneva a tavola aspettando la mezzanotte per recarsi alla funzione della nascita del Bambin Gesù.

In occasione del Santo Natale, si è ritenuto opportuno pubblicare questa descrizione del Sig. Nazzaro, per dimostrare che sia pure nella povertà, nella semplicità, la gente rispettava le tradizioni e allo stesso tempo ci si divertiva. Un monito per far riflettere sull’odierno consumismo.
(B. Baldassarro)

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